Una breve critica agli attori


Severa morte, una sanguinolenta sceneggiatrice che scrive la fine della commedia che è la vita, al cui epilogo ad ogni personaggio viene strappata la sua maschera, e ritorna ad essere, dopo qualche istante, l’usuale nulla potenziale che fu prima di iniziare l’atto.

 

Aihmè, non può giudicarsi una commediografa talentuosa, dato che la leggerezza con cui manda avanti le scene sprofonda in una paura abissale proprio nella conclusione, trasformandosi nella tragedia d’eccellenza, dove Lei si riserva il ruolo di prima attrice.

Il brutale strappo della nostra persona, genera panico e disorientamento tra la compagnia degli attori, la paura, l’annichilimento, il distruttivo terrore di un inaspettato licenziamento, scaturiscono nel cuore il rispetto più sincero e vero che esista verso sora morte corporale, e tutti recitano la vita nel miglior modo possibile per terrore che, insoddisfatta del nostra parte, possa mandarci via da un momento all’altro. Come ben spesso capita, questa voglia di mettere tutto il nostro impegno in quello che facciamo è qualcosa di temporaneo, dovuto alla paura di perdere ciò che noi siamo, un costume a cui è facile abituarsi, una quotidiana veste che diventa banale, fino a quando a qualcuno non viene lacerata e tutti sono accorti allora a tenersi stretta la propria.

Il morto, o disoccupato che sia, non viene dimenticato dai suoi vecchi colleghi… Meglio! Viene ricordato,(anzi riassunto in una nuova parte), ma raramente coincide con la precedente. Nella maggior parte dei casi il morto inizia un’altra vita, dove questa volta la sceneggiatrice è l’immaginazione, ingaggiata dai suoi amici attori. Il più spregevole uomo muore, per poi essere assunto nella parte di un santo, il più agnostico diventa un credente, e i più si recano a vivere in posti paradisiaci, i pochi restanti in luoghi infernali, i quali, da quanto sembra, siano tremendamente solitari.

Non c’è da biasimare, gli attori sono sempre stati noti per i loro costumi inusuali, tra loro sarebbe stravagante e fuori luogo associare il vivo a morto, morto a vivo e vero al vero. Mai un assassino rimarrà tale da morto, se la morte stessa lo ha dismesso da quella parte, mai un cinico potrebbe disprezzare la sua condizione, mai un bugiardo non recitare come il più spontaneo dei sinceri.

La misericordiosa immaginazione umana, che si pone al di sopra d’ogni giudizio, muta e trasforma la vecchia maschera con nuova argilla, fino a quando il Tempo, regista, divora ogni copione dell’improvvisata sceneggiatrice, e tutto cade in un oblio di dimenticanza, perché una misera lapide non può saziare il vorace appetito di Crono.

Un Bugiardo.